“La tua visione diventa chiara solo quando guardi dentro il tuo cuore. Chi guarda fuori, sogna. Chi guarda dentro, si sveglia.” – Carl Gustav Jung
Chissà come mai ancora oggi molte persone pensano che rivolgersi a uno psicoterapeuta o a uno psichiatra sia una sconfitta o un motivo di vergogna. Io ho tratto dai miei percorsi grande giovamento e consapevolezza su di me.
Ricordo le sedute dal mio primo psicoterapeuta tanto amato, una immensa figura di riferimento che mi ha aiutata a capire cosa volessi fare della mia vita in quel particolare frangente. Tra noi c’era un’intesa che andava oltre il rapporto medico-paziente: il ritrovarsi all’appuntamento avendo sognato o pensato la stessa cosa; i quaderni in cui annotavo i miei sogni, che poi lui mi faceva interpretare; i viaggi in auto per andare all’incontro settimanale durante i quali raccoglievo i pensieri; i pianti al ritorno da certe sedute, ché i trenta minuti di auto erano provvidenziali per tornare a casa con una faccia decente.
Ricordo quello studio, con le poltrone in pelle e il lettino sul quale non mi sono mai stesa: mi piaceva stare seduta accanto a lui, sulla poltrona Bauhaus, con i miei quaderni in mano. Non ho mai pianto con lui, piangevo dopo, o prima. Ho pianto invece con le altre due terapeute.
Con una di loro ho provato l’ipnosi. Ero piuttosto titubante perché non sapevo bene di cosa si trattasse. Ne abbiamo tutti un’idea piuttosto distorta che ci deriva dai film e dalla TV. Non si cade in trance e ci si risveglia con uno schiocco delle dita, almeno non in quella che ho provato io. La prima volta che mi sono stesa sul lettino non riuscivo a lasciar andare i pensieri, a liberare la mente: dovevo tenere tutto sotto controllo, come sempre. Poi finalmente ho ceduto ed è stato molto rilassante abbandonarsi alla voce della persona che mi stava accompagnando in quel percorso. Una bellissima sensazione di pace.
Dalla stessa persona mi sono fatta guidare in un percorso di EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing, desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari), che mi ha aiutata a rifinire il lavoro fatto negli anni. È una tecnica in cui si parte da un trauma – che si è fissato come un nodo nella mente e continua a riaffiorare bloccandoti – per superarlo in maniera definitiva. Il trauma, non più legato a qualcosa di negativo, viene finalmente rielaborato e associato a un momento piacevole. E quando metti una X su un trauma provi una grande soddisfazione.
La mente ha risorse incredibili che tutti noi dovremmo imparare a usare in maniera positiva, convogliando ogni nostra energia per cercare di stare meglio con noi stessi – prima di tutto – e con il resto del mondo. Nessuno ci darà mai la pillola della felicità, non esiste. Spesso mi sono chiesta: perché tanta fatica, non posso fare ricorso ai farmaci? Ma nessuno dei miei terapeuti era d’accordo e me ne ha mai prescritti: erano tutti convinti che avessi grandi capacità di recupero ed elaborazione, e forse avevano ragione loro.
Sono fiera di tutti i percorsi che ho seguito, anche di quello di coppia, in cui ci ha accompagnato una donna fantastica e dolcissima. Lei mi ha insegnato a dare un nome a questa cosa meravigliosa che è l’empatia. Con lei mi sono lasciata andare anche a lacrime e abbracci. Un percorso di coppia è ancora più difficile di una terapia individuale: si è in due e ci si deve capire davanti a una terza persona che cerca di mediare. Ma ne vale sempre la pena. Aiuta a vedere il punto di vista dell’altro in un modo diverso che altrimenti spesso ci sfugge.
Non finirò mai di ringraziare le tre persone che mi hanno seguita fin qui: L., F. e D. Con F. ci siamo salutate il 19 maggio dell’anno scorso.
Chissà quale iniziale avrà il nome della prossima che avrà il piacere – o l’ingrato compito – di ascoltarmi.
Per ora ad ascoltarmi c’è soltanto Luna che, nella sua infinita pazienza, capisce anche e soprattutto ciò che non le comunico a parole!